In questi giorni si sente molto parlare di ripresa dell’occupazione e di un lento ritorno alla “normalità”. Dopo la brusca frenata del mercato del lavoro dovuta alla pandemia da Covid-19, sembra che la situazione si stia lentamente sbloccando. Dall’ISTAT arrivano dati incoraggianti, almeno a prima vista: nell’ultimo anno il tasso di disoccupazione complessivo è sceso al 9,2% (-0,2 punti) e al 28% tra i giovani (-0,2 punti), mentre l’occupazione torna al punto di partenza, a quel 59% del febbraio 2020, con un aumento del lavoro femminile che si attesta al 50,5%, tra i tassi più altri mai registrati in Italia.
Cambiando prospettiva di lettura però, l’entusiasmo frena. Da questa analisi si evince chiaramente che solo una donna su due lavora, una percentuale tanto più grave se messa a confronto con la media europea al 62,7%. Un altro dato allarmante è quello del gap tra tasso di occupazione femminile e maschile che nel nostro Paese arriva a superare il 18%. Per avere un’idea più chiara del divario, sono solo 9,6 milioni le donne Italiane che vantano di avere un lavoro, 13,1 milioni gli uomini. A tutto questo si aggiunge il problema della precarietà contrattuale che colpisce soprattutto le lavoratrici più giovani, destando non poche preoccupazioni in merito alla ripresa dell’economia Italiana. Nel mese di dicembre 2021, infatti, l’80% dell’aumento occupazionale si è registrata grazie ai contratti a termine, cresciuti del 16,4%, contro un incremento dei contratti a tempo indeterminato dell’1,1%.
A risultare discriminanti, però, sono soprattutto le condizioni lavorative: si è scoperto che 1,9 milioni di donne sono costrette al part-time involontario, un vincolo necessario se vogliono continuare la propria attività. Per il 60% delle lavoratrici con contratto part time, quindi, la riduzione dell’orario è una condizione subìta e non una scelta.
«Rispetto alle crisi precedenti – spiega la Sottosegretaria al Ministero dell’Economia e delle Finanze Maria Cecilia Guerra a margine dell’audizione al Senato sul Bilancio di genere, – l’impatto di quella pandemica è stato particolarmente negativo sulle donne: si è tradotto non solo in una significativa perdita di posti di, ma anche in condizioni di lavoro peggiori, in una accresciuta fragilità economica e in un conflitto vita-lavoro ancora più aspro del passato». A pagare il prezzo più alto di questa “fragilità economica” sono le donne con bambini sotto i 6 anni di età: il tasso di occupazione delle madri è del 53,3%, mentre quello di chi non ha figli il 72,7%. «Sono numeri drammatici che evidenziano una discriminazione nella discriminazione – sottolinea Guerra – l’aggravarsi della situazione delle madri, soprattutto quelle più giovani, dimostra, come se ve ne fosse ancora bisogno, che al di là della retorica del sostegno alla maternità, nel nostro paese figli e lavoro continuano a essere largamente inconciliabili».
Viene quindi naturale pensare che la parità di genere nel mondo del lavoro sia più lontana di quanto ci si potesse auspicare. Paradossale, considerando che un maggior numero di donne occupate potrebbe fornire proprio quella spinta decisiva alla ripresa economica del Paese, facendo crescere PIL e imprese. È dimostrato infatti che le aziende con governance mista sono più competitive e reagiscono meglio nei contesti di crisi, grazie proprio alla diversità di attitudine e visione dei due sessi. Nonostante questo, su 605mila posizioni manageriali, solo il 28% è affidato a figure femminili (Inps).
Occorre un cambio di rotta
Lo sguardo è rivolto ora al PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che il Governo italiano ha predisposto per illustrare alla Commissione Europea come la nostra Nazione intende investire i fondi che arriveranno per la ripresa economica post pandemia. Con il Piano non solo si sta lavorando per ridurre il gap tra occupazione maschile e femminile, attraverso l’introduzione della certificazione della parità di genere, ma anche per migliorare le competenze digitali che dovrebbe condurre verso un’offerta di lavoro femminile più qualificata e per incentivare l’imprenditoria femminile.
A questo proposito il Ministro allo Sviluppo Economico ha firmato il decreto che stanzia 400 milioni previsti dal PNRR a favore le donne che scelgono di fare impresa. Il fondo punta a sostenere all’incirca 2400 imprese femminili con l’obiettivo di favorire la realizzazione di progetti imprenditoriali innovativi con attività di mentoring e assistenza tecnico-manageriale.
Tra i vari progetti messi in campo negli ultimi mesi dai diversi enti del territorio per favorire l’imprenditoria al femminile, spicca il programma YES I START UP, un percorso gratuito di formazione all’autoimpiego, di cui Ifoa è Soggetto Attuatore. Il progetto promosso da Anpal e dall’Ente Nazionale Microcredito si pone l’obiettivo di fornire le competenze indispensabili per trasformare un’idea imprenditoriale in realtà. Consiste in un percorso formativo all’imprenditorialità con corsi mirati a trasmettere le nozioni necessarie a costruire la propria startup, dalla creazione del business plan alla preparazione della documentazione richiesta per avviare l’attività.
Il progetto è indirizzato non solo alle Donne, ma anche ai giovani NEET (Not in Education, Employment or Training) iscritti al programma Garanzia Giovani e a tutti i Disoccupati di lunga durata su scala nazionale attraverso il finanziamento del PON SPAO.
Grazie alle misure stanziate dal PNRR, si prevede un aumento dell’occupazione femminile del 4% nell’ultimo triennio del Piano (2024-2026). Un punto di partenza per invertire la rotta, cambiare la cultura del mercato del lavoro e promuovere la parità, oggi ancora troppo marginale.